La Disoccupazione non esiste
Esiste l’impreparazione
In Italia laurearsi e trovare lavoro è più difficile che in ogni altro paese d’Europa
Siete mai stati a una di quelle fiere, tipo Chance a Milano, Job & Orienta a Verona o Job Meeting a Padova? Come a un mercato, i giovani vi si aggirano in cerca di un datore di lavoro, di un compratore, di chiunque prometta loro qualcosa da fare. Alla fin della fiera, quando tutto manca, si aggrappano alla speranza di un Master nell’illusione che una dose da cavallo di studi post laurea possa porre rimedio ad un’impreparazione protratta per anni, che purtroppo si rivelerà insanabile, troppo radicata per poter essere corretta.
In Italia laurearsi e trovare lavoro è più difficile che in ogni altro paese d’Europa, la realtà è che mentre in tutte le democrazie industriali del mondo la lunga età impiegatizia sta tramontando, in Italia ancora aleggia e prospera il mito del “posto fisso”. Assistiamo con apprensione crescente all’aumento della disoccupazione, da anni i posti di lavoro si assottigliano in tutto il mondo e la possibilità di trovare un lavoro dipendente, soprattutto per le nuove generazioni, appare sempre più remota. I giovani sono minacciati dal fatto di non riuscire neppure a varcare la soglia del mondo del lavoro e delle professioni.
I White-Collar si avviano a diventare una specie in estinzione e l’età impiegatizia, che per due secoli, dal tempo della rivoluzione industriale, si era progressivamente affermata nelle società avanzate, è così giunta a un giro di boa. L’età impiegatizia, nella sua versione più moderna, ebbe origine circa due secoli fa, quando si cominciò a considerare il tempo come una merce, quando cioè si concepì possibile comprare il tempo degli uomini invece di ciò che essi producono: beni, servizi e idee. Questo avvenne con la nascita delle grandi imprese, e la necessità, conseguente alla rivoluzione industriale, di disporre di un esercito di milioni di lavoratori “dipendenti”, operai o impiegati, pronti a vendere il lavoro delle proprie braccia o il proprio tempo a prezzo fisso, un tanto all’ora o al mese. Il lavoro dipendente, come moderna versione del lavoro servile, nelle massicce proporzioni che ha assunto, è quindi un fenomeno contemporaneo. Mai prima tanti uomini avevano vissuto una condizione di semi-schiavitù con l’illusione di essere liberi.
Il sistema universitario italiano, nella sua rigida organizzazione pressoché immobile, cerca di vivere, sopravvivere, anche a costo di morire. Per una Repubblica ‘fondata sul lavoro’ registrare il tasso di disoccupazione più alto tra i paesi dell’Ocse, i più industrializzati del mondo, risultare ultima tra tutti i partner europei, è talmente paradossale da poter sensatamente esigere una modifica dell’art. 1 dell’atto di nascita della nostra Repubblica. Raramente nella storia un diritto così solennemente sancito e posto a fondamento di un’intera nazione è stato così profondamente e così a lungo disatteso, negletto, tradito.I giovani in Italia arrivano alla laurea non solo sei anni dopo i colleghi europei, ma impreparati, obsoleti, tagliati fuori dal mercato internazionale del lavoro e con gravi difficoltà ad inserirsi in quello domestico. In un job market ormai senza frontiere dove le imprese, sempre più, valutano le competenze più che le conoscenze formali, la disoccupazione intellettuale giovanile italiana ha una sola causa: l’impreparazione. Indichiamo come maggior responsabile di questa sciagura nazionale, il sistema di educazione superiore, la formazione universitaria di questo Paese.
Un’economia come quella veneta, che esporta più della Grecia e del Portogallo messi insieme, dove va a cercare i suoi dirigenti per competere con le imprese di tutto il mondo? Dove Diesel, che ha insegnato agli americani come si fanno i Jeans, trova i suoi manager? Dove sono i leader d’impresa capaci di affrontare le sfide che ci sono davanti? A un mercato del lavoro che ha fame e sete di laureati giovani, con una preparazione internazionale ed esperienze di lavoro, vengono offerti giovani-vecchi impreparati. Impreparati non solo perché non hanno alcuna cognizione di quanto accade nel mondo delle organizzazioni e delle professioni, ma soprattutto perché non sanno chi sono. Nessuno li ha aiutati a nutrire, ad accarezzare il proprio sogno. Dopo tanti anni di studi, senza un intento, impauriti, hanno barattato la propria passione, la felicità di fare ciò che si ama, con le false certezze del posto fisso e cercano riparo in un impiego o tentano per anni di vincere un concorso, non importa dove, non importa per fare che cosa.
Gli studenti della ESE si laureano in tre anni e si inseriscono spesso ancora prima di ricevere il titolo alla Cerimonia di Laurea. Eleonora Cazzaro studentessa ESE, a 22 anni ha accettato durante il periodo di studi, di continuare a lavorare al reparto Grandi Eventi presso la Fondazione Fiera Milano. Anche Anna Cozza, durante il suo 3° anno, ha avuto la fatidica proposta dalla Diesel Industries di Molvena e la Geox, tra le tre maggiori industrie mondiali di calzature sportive, ha selezionato cinque neo laureati ESE per il suo corso Master per la formazione dei suoi futuri dirigenti. Ma anche per gli studenti più meritevoli dal punto di vista dell’eccellenza accademica ci sono grandi soddisfazioni. Caterina Cazzola, 21 anni di Verona, è stata selezionata per partecipare al meeting di 100 giorni, organizzato dalla Pittsburgh University e riservato agli studenti di ogni nazionalità. Alla Berkeley University ancora fanno bella mostra di sé le targhe d’oro vinte dagli studenti ESE come Alessandro Nosei.
La ESE afferma il diritto dei giovani a sognare e vedere realizzato il loro sogno. Arrivare all’appuntamento col lavoro e cercare di farsi scegliere, fare code, anticamere, e cercare una cosa qualunque da fare ed un boss che ti paghi uno stipendio, è al di sotto di un livello di dignità. Un giovane deve poter scegliere il suo lavoro. Nessuno deve essere messo nelle condizioni di accettare un lavoro qualsiasi per vivere. Per esercitare un tale diritto occorre prepararsi. Occorrono scuole di libertà, internazionali, pragmatiche, multiculturali che, in economia come in politica, educhino una nuova generazione di leader d’impresa, una classe dirigente giovane, sognatori pragmatici capaci di armonizzare gli apparenti antagonismi di sempre: economia ed etica, azione e contemplazione, potere finanziario e amore.