Pinocchio, un testo mistico travestito da fiaba

Una domanda da risolvere

Sul racconto di Pinocchio aleggia un mistero, un enigma che vorremmo risolvere Come mai a uno scrittore come Carlo Lorenzini, che in tutta la sua carriera non si è mai levato al disopra di un Thouar o di un Dazzi, ad un tratto scappa di mano una storia immortale, un’opera oggettiva, un capolavoro mondiale che ha la profondità insondabile di una parabola evangelica. È mai possibile che una favola concepita di getto, forse di malavoglia, senza un piano preciso, da un uomo probabilmente sconfitto da delusioni personali e politiche, possa diventare eco di un messaggio universale, specchio di un’umanità intera? È un pensiero inquietante. Perché non l’ha firmata con il suo vero nome, come le altre sue opere, invece di scegliere di usare un “nom de plume”?

 

Le due domande possono ridursi ad una, nel senso che c’è una spiegazione, o meglio un’ipotesi di spiegazione, che risponde ad entrambe. L’ipotesi è che quel testo sia ispirato, sia cioè l’effetto di una folgorazione. L’avventura di Pinocchio, il romanzo per l’infanzia più letto e più tradotto del mondo, sotto le mentite spoglie di una lettura per bambini cela il più grande e audace testo mistico della letteratura mondiale.

In realtà quello che vediamo in Pinocchio sono i trucioli di legno della nostra anima sperduta. Questo spiega la sensazione del lettore che in Pinocchio il testo sia reale e l’autore un’ipotesi non necessaria La sua esistenza è superflua, come nell’Antico Testamento, come nei Vangeli. Ci sono libri sacri, non autori sacri. Carlo Lorenzini non si è sentito di firmare una storia universale, scritta nei cieli, e che egli si era limitato semplicemente a trascrivere.

Pinocchio è il pezzo di legno da catasta, fa parte del mucchio È materia che chiama distruzione e cenere ed insieme vuole diventare e trasformarsi. In questa trasformazione gli antagonisti, rappresentati dal Gatto e la Volpe, hanno natura provvidenziale e religiosa, ideologica e teologica.

Il mondo è uno specchio. Attraverso eventi, nel suo linguaggio simbolico fatto di circostanze e di incontri, manda continuamente segnali, indizi, sintomi. Se Pinocchio (leggi l’uomo così com’è) fosse capace di leggerli non sarebbe quell’essere costantemente impegnato nel proprio sabotaggio, non farebbe la scelta sbagliata davanti ad ogni bivio dell’esistenza, non sarebbe inaccessibile all’esperienza, in capziosa collaborazione con l’errore e con l’equivoco.

Il Gatto, feroce e semplice, la Volpe, ironica ed efferata, sono figure poetiche di criminali.

I personaggi che popolano il mondo di Pinocchio non sono altro che proiezioni della nostra immaginazione, figure nella cui esistenza crediamo così tanto che sono finite a infestare il nostro mondo reale. E primi avanti a tutti troneggiano il Gatto e la Volpe, con le loro deformità fisiche, simbolo di una coscienza marcia, mascherata da astuzia.

Una severa deontologia le obbliga a mettere in guardia la vittima con mille segnali, contraddizioni e lapsus. Insomma essi possono derubare solo chi è fermamente intenzionato e deciso a farsi derubare. Per questo, un giorno, nei tribunali di un’umanità progredita leggeremo scritto a lettere cubitali: “la vittima è sempre colpevole”